Dal 9 febbraio il rinvio a giudizio nei confronti dell’ex Presidente dell’Ordine dei Medici leccese, che dovrà difendersi davanti ai giudici dalle accuse di “stalkeraggio” insieme ai Presidenti della Federazione nazionale. In base all’accusa, Mauro Minelli, fu costretto a rinunciare all’iscrizione all’albo dei Medici di Lecce e a destituirsi dal suo incarico di dirigente IMID perché vittima di pressioni “dall’alto”.
Nel pieno del periodo natalizio, echeggia ancora la notizia del nuova inchiesta giudiziaria che ha investito Luigi Pepe, l’ex Presidente dell’Ordine dei Medici di Lecce, accusato di presunto ostruzionismo nei riguardi di Mauro Minelli, Dirigente Responsabile del Centro Imid di Campi Salentina.
L’onda giudiziaria dalla Procura di Lecce, che si avvierà il prossimo 9 febbraio, ha travolto anche due personalità di spicco nel mondo accademico nazionale che avrebbero esercitato abuso d’ufficio ai danni di Minelli. Ad ostacolare alcune richieste del ex dirigente, ritenute poi assolutamente legittime, furono anche Amedeo Bianco e Roberta Chiersevani, in qualità di Presidenti in carica, all’epoca dei fatti. della Federazione Nazionale Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCO).
I tre accusati di abuso di ufficio, in un’inchiesta nota come “caso Minelli”, dovranno chiarire ai giudici, perché avrebbero legittimato la rinuncia del Dirigente IMID all’iscrizione all’Albo dei Medici di Lecce con un provvedimento disciplinare a suo carico, giudicato “farlocco”dalla polizia investigativa. Nel mirino del PM, troviamo anche la successiva opposizione verso Mauro Minelli alla sua richiesta di iscrizione all’albo dei Medici di Potenza.
Il dott. Mauro Minelli, prima dell’accaduto, era Dirigente Responsabile U.O. “IMID Unit” a Campi Salentina, azienda ospedaliera espressamente dedicata all’inquadramento clinico delle Malattie Infiammatorie Immunomediate e ambiente-correlate. Una struttura sanitaria, IMID, che è stata un piccolo tesoro nel Salento, punto di riferimento per tante famiglie di malati da uranio impoverito e da metalli pesanti non solo sul territorio pugliese, ma anche extraregionale.
Lo specialista in Allergologia e Immunologia, nel luglio del 2014, prese la decisione di cancellarsi dall’Albo dei medici Lecce, in quanto presunta vittima delle pressioni di Luigi Pepe. Nel rango della sua posizione, Pepe era anche segretario del sindacato leccese dei medici di famiglia, oltre ad essere stato parlamentare per due mandati.
L’accusato, originario di Acquarica del Capo, ma residente a Surano, avrebbe usato il suo potere coercitivo su Minelli nella veste di Presidente dell’Ordine dei medici, carica che è stata ricoperta da ben dieci anni. “La mancanza dei presupposti legittimanti la rinuncia del dottor Minelli all’iscrizione presso l’Albo di Lecce”, secondo il pubblico ministero Paola Guglielmi, avrebbero spinto Minelli a presentare ricorso in appello, con successiva iscrizione di Pepe nel registro degli indagati.
Il presunto procedimento disciplinare usato come escamotage per giustificare le dimissioni di Minelli dall’Albo leccese sarebbe stato inventato a posteriori “al fine di assicurarsi l’impunità sul piano disciplinare, in relazione a tutte le condotte vessatorie sulle quali la Federazione si sarebbe dovuta pronunciare, su istanza del Minelli, che aveva altresì trasmesso l’avviso di conclusione delle indagini a carico del detto Pepe”.
L’accusa di abuso di ufficio per gli altri due indagati Amedeo Bianco e Roberta Chiersevani, allora Presidenti in carica della Federazione Nazionale Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCO), riguarda il favoreggiamento alle azioni di Luigi Pepe. I due avrebbero, infatti, “omesso di attivare il proprio potere disciplinare nei confronti di Luigi Pepe, annullando le sue argomentazioni presso il Ministero della Salute e presso l’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Potenza”. La missione era quella di “consolidare la posizione apicale di Luigi Pepe all’interno dell’Ordine di Lecce”.
Intanto a febbraio, riprenderà il processo sul “caso Minelli”, per tentare di far luce su un grave episodio di “malasanità” amministrativa, rimasto all’ombra dalle cronache nazionali, con tacito assenso del mondo politico italiano